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Esempio di III stile

Esempio di II stile

Esempio di III stile

Esempio di IV stile a rilievo

Decorazione parietale raffigurante un puttino

Sinopia (disegno preparatorio per un affresco)

Particolare di affresco, Villa dei Misteri, Pompei

 

AFFRESCO le decorazioni di Pompei...


L'etimologia stessa del termine ci descrive la tecnica dell'affresco, che consiste nell'applicare il colore, sotto forma di pigmenti macinati, direttamente sull'intonaco fresco per favorire la carbonatazione della calce, una reazione chimica tra la calce presente nell'intonaco e l'anidride carbonica dell'aria che favorisce il fissaggio dei colori. 

 

 

Le decorazioni e le opere pittoriche di Pompei ed Ercolano erano eseguite per la maggior parte con questa tecnica. Già molti scrittori noti dell'antichità, come Vitruvio e Plinio, ci hanno descritto una tecnica pittorica murale eseguita con intonaco ancora umido. Un passaggio di un testo di Plinio, in cui era descritto un procedimento di inceratura delle pareti dipinte, ha fatto ritenere erroneamente per lungo tempo che le pitture romane fossero ad encausto, ovvero con l'aggiunta ai colori di cera calda o altre sostanze organiche in grado di resistere all'umidità.

 

 

Solo nel 1967, in seguito a numerose analisi degli intonaci dipinti, si giunse alla conclusione che si trattasse di pittura a fresco, e che l'ottima conservazione fosse dovuta ad un accurato procedimento di levigazione e schiacciamento della parete che dava compattezza allo strato pittorico. L'inceramento dell'affresco era probabilmente utilizzato per proteggere alcuni colori delicati, tra i quali il cinabro che al sole tendeva ad imbrunirsi.

 

 

La lavorazione dell'affresco constava di diverse fasi. Innanzitutto si preparava la parete con malta grossolana sulla quale venivano applicati cocci o, in alcuni casi, lastre di piombo che servivano a trattenere l'umidità, preservando gli intonaci da una rapida degradazione. Poi veniva steso uno strato misto di sabbia e calce di circa 1 cm detto arriccio, su questo, quando era ancora umido, si tracciava con un chiodo il disegno preliminare detto sinopia, dal nome della città di Sinope in Turchia. Dopodiché si stendeva il tonachino spesso appena una frazione di millimetro, un composto di sabbia fine, polvere di marmo o pozzolana setacciata, e acqua, su cui venivano stesi i colori. I colori adatti a questo tipo di lavorazione erano di origine minerale, vegetale, e animale. Il cinabro era un rosso (rosso pompeiano) derivante dal solfuro di mercurio, dall'effetto vivo e lucente, proveniente dall'Asia Minore dalle miniere nei pressi di Efeso e dalla Spagna. Il ceruleo, detto blu egizio o fritta, era ottenuto cuocendo in una fornace sfere di rame, fior di nitro e sabbia, precedentemente macinati ed inumiditi. Dalle ocre come il sil atticum derivavano i colori gialli diffusissimi a Pompei, che in alcuni casi hanno assunto una colorazione rossa a causa del riscaldamento prodotto dall'eruzione. Il nero, di origine animale, era ottenuto dalla triturazione e calcinazione di ossa od avorio.


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